giovedì 29 novembre 2012

LA MARCIA DEI BAMBINI RIBELLI



Ha tredici anni. Il suo nome è Rina. Porta ai piedi dei tong mezzi distrutti. In testa, un grande cappello di paglia annodato con il tradizionale fazzoletto khmer. Sotto un cielo di piombo, in un tanfo pestilenziale, Rina smista i rifiuti nell'immensa discarica che si stende alla periferia di Phnom-Penh. In un fumo acre, una nube di mosche sorvola rumorosa i cumuli di immondizie.Intorno a quella ragazzina, uno sciame di bambini, i più piccoli di appena cinque anni, smistano anche i rifiuti di plastica, vetro, piombo, osso, scorticano tutto quanto è recuperabile per rivenderlo ai ferrivecchi che si sono sistemati nelle vicinanze.
lL guadagno di una giornata non supererà le mille lire, che faranno vivere Rina e la madre ammalata. Tradizionale in molti paesi del terzo mondo, ad esempio in India, e nelle Filippine, questa attività è relativamente nuova in Cambogia. L'ingrandimento smisurato della capitale spiega l'immensità della discarica in cui l'estrema povertà dei nuovi "cittadini" spinge centinaia di bambini. Il lavoro dei bambini nel mondo comincia appena a essere percepito come uno scandalo internazionale e come una aberrazione economica. Scandalo, perché ruba a milioni di loro la propria infanzia, aberrazione perché toglie loro ogni speranza di formazione e quindi ostacola pesantemente il decollo economico del paese. Questa presa di coscienza è emersa alcuni anni fa in America latina e soprattutto in Asia, quando organizzazioni non governative locali hanno pazientemente tessuto una rete di resistenza allo sfruttamento dei bambini. Da qui le più recenti operazioni di commando segnatamente in India condotte da un pugno di attivisti ben determinati che tentano di liberare i piccoli schiavi nelle officine, nelle fabbriche o nelle case chiuse.
Da questo movimento è sorta l'idea della Marcia dei bambini che, partita dall'Asia, dall'America latina e dall'Africa, si è conclusa a Ginevra, dove l'Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) ha deciso di adottare una convenzione sull'eliminazione delle forme più intollerabili di sfruttamento dei bambini. Quanti sono nel mondo oggi? Gli esperti del Bit e dell'Unicef parlano di 250 milioni di bambini sfruttati. Una cifra spaventosa che denuncia un forte aggravamento del fenomeno negli ultimi vent'anni, non spiegabile soltanto con l'accrescimento demografico: la deregolamentazione e potenti meccanismi di erosione dei sistemi giudiziari o culturali di tutela dell'infanzia sono all'opera in una tale evoluzione, e la spiegano. L'immensa maggioranza dei bambini sfruttati vive nel terzo mondo e metà di essi in Asia. L'India da sola ne conta più di cinquanta milioni. L'Africa ancora di più, in proporzione, poiché vi lavora un bambino su tre, contro uno su quattro in media in Asia, e uno su cinque in America latina. Tuttavia, da alcuni anni, questo fenomeno, profondamente radicato nella storia dei paesi industrializzati, vi sta risorgendo e si consolida, ma anche nei paesi preoccupati, teoricamente, della tutela dei più deboli, quali la Gran Bretagna, l'Italia o altri paesi dell'Europa occidentale. Il Regno unito sconta, anche in questo settore, il prezzo di anni di conservatorismo selvaggio e di deregolamentazione sistematica, che hanno provocato il crollo delle protezioni legali: certi bambini, in gran parte usciti dalle comunità di immigrati, lavorano in Gran Bretagna nei saloni dei parrucchieri, nei ristoranti, nelle lavanderie, nelle imprese di pulizia e così via . Quanti sono?
Alcune decine o centinaia di migliaia? Ogni stima al riguardo rimane azzardata nella misura in cui, in Gran Bretagna come ovunque in Europa, il lavoro infantile è clandestino e punito. Esiste in Portogallo, in Italia, in Grecia, in Spagna, negli Stati uniti... In Francia, dove diverse migliaia di bambini vivono fuori da ogni scolarizzazione , molti sono sfruttati, e ad essi si aggiungono quelli che, sotto la maschera dell'apprendistato, sono in realtà già inseriti nel mondo del lavoro e della produzione. Ma su queste realtà vige l'opacità più completa. Nel terzo mondo, dove lo sfruttamento è infinitamente più massiccio, i bambini non sono destinati soltanto ad alcuni tipi di attività marginali: sono parte integrante del sistema di produzione, si tratti di agricoltura, d'industria, di artigianato, o dei mille piccoli mestieri della strada come la confezione, le riparazioni... La lista è senza fine e la fantasia degli adulti senza limiti quando si tratta di ridurre intere popolazioni di bambini alla semi-schiavitù. Trasformati in fantini di cammelli nei paesi del Golfo, asserviti tutto l'anno in fabbriche di tappeti, di petardi, di fuochi d'artificio, di fiammiferi, di sigarette (in India), fanno anche i minatori (in Colombia, Bolivia, Perù), i levigatori di pietre preziose (in India), gli scavatori di diamanti (nell'ex Zaire).Puliscono le vasche delle petroliere (in Pakistan), confezionano le stoffe di cotone (In India, Pakistan, Bangladesh), di notte raccolgono il gelsomino (in Egitto), fabbricano i mattoni fin dall'età di cinque anni (in India, Pakistan), cuciono i palloni di calcio (in Pakistan), si tuffano in apnea per trovare ostriche con le perle (in Malesia, Birmania), inscatolano gamberetti e pesci surgelati (in Marocco, nelle Filippine)...Inoltre, nell'Asia del sud, diverse decine di milioni di persone vivono sotto il giogo della servitù per indebitamento, schiavi di usurai che hanno prestato denaro a un lontano ascendente.
L'usuraio, o i suoi discendenti, conserveranno così diritto di vita o di morte su intere famiglie incatenate a un inestinguibile debito. Evidentemente, alla radice del fenomeno sta la povertà; povertà degli stati sommata all'indigenza delle famiglie. Ma le spiegazioni economiche non bastano a rendere conto di un fenomeno di tale entità. Vi si aggiunge il fattore potente dell'inadeguamento della scuola, spesso troppo costosa, troppo distante, dove i maestri, mal retribuiti, demotivati, devono far fronte a classi di ottanta, cento bambini, dove la lingua usata risulta talvolta incomprensibile e il contenuto dell'insegnamento senza relazione con la vita delle famiglie.Perché, in queste condizioni, privarsi dei pur magri redditi che un bambino può fruttare? Perché mandare a scuola le bambine, esseri di serie B, così utili per la raccolta della legna, per portare l'acqua, per curare i più piccoli? Perché, in India, mandare a scuola i figli degli intoccabili, mentre il loro naturale destino è quello di servire? A questo complesso di cause intrecciate si aggiunge sempre, nei genitori, il sentimento di una grande costrizione. Quali mezzi abbiamo, si dicono, per non far lavorare i nostri bambini?Violenza dei rapporti sociali, violenza di un ordine economico sul quale essi non possono incidere e che molti ritengono immutabile. Allentare questa costrizione è l'obiettivo da raggiungere oggi.
Bisogna sentire cosa dicono questi bambini lavoratori. E' un discorso sconcertante, come rileva Michel Bonnet, autore di un notevole lavoro sull'argomento.
Una domanda, dice Bonnet, "ossessiona, giorno e notte, i bambini lavoratori: perché?Perché dobbiamo lavorare così duramente? Perché non possiamo andare un po' al lavoro e un po' a scuola? Perché i padroni sono così crudeli? Perché mi pagano così poco? Perché la vita è così ingiusta con i poveri?" Michel Bonnet fornisce egli stesso la risposta: "Ciò che il bambino teme più di tutto, molto di più delle percosse del suo padrone e delle pericolose condizioni di lavoro, è di essere messo fuori corso, di essere escluso dall'azienda come è escluso dalla scuola, dall'ospedale, dal terreno di gioco, in una parola, la paura di essere escluso dalla vita". Questi bambini chiedono non tanto di non andare al lavoro quanto di avere un lavoro più umano, più dolce, meglio remunerato, senza violenza. Come rimproverargli questo approccio "riformista" quando ogni altro atteggiamento sarebbe suicida?Non possiamo sottrarci a una riflessione di fondo. Il dibattito sulle strategie che consentiranno di eliminare il lavoro infantile è solo agli inizi. Questa riflessione deve anzitutto guardare all'insostenibile realtà delle condizioni di vita di questi piccoli schiavi e, come scrive Michel Bonnet, "lo sguardo è un atto rivoluzionario". Questo sguardo, questa analisi, ci mostrano che oltre il 90% del prodotto del lavoro dei bambini è destinato al mercato locale e non all'esportazione. Il boicottaggio dei prodotti fabbricati da bambini ed esportati verso i paesi del Nord, seppure essenziale alla presa di coscienza, è lungi dal risolvere l'insieme del problema. Le soluzioni saranno assieme più complesse e più globali. Esse passano, per i bambini, per la strada della scuola, anche sotto forma di classi sistemate sui luoghi stessi del lavoro dei bambini, come cominciamo a vedere in Pakistan, in India, in Marocco.
Peraltro, nulla sarà possibile senza un rovesciamento dell'atteggiamento dei politici, a livello nazionale e internazionale, per i quali il lavoro dei bambini rimane una sorta di passaggio difficile ma necessario verso una industrializzazione più presentabile, o un mutamento obbligato delle società preindustriali verso uno stadio compiuto di sviluppo. E' questo stereotipo comodo che va distrutto perché è chiaro che non si può fondare lo sviluppo di una società sull'asservimento di intere popolazioni di bambini. La strada percorsa in qualche anno è immensa. Ma il lavoro è solo all'inizio.

partigiano reggiano

L'eleganza, ma che roba è ???


Una volta si diceva che chi vestiva alla moda era elegante. Una signora elegante, fino a pochi anni fa, la beccavi a colpo d'occhio: un bel tailleur, poche griffe e molto fairplay, modi di fare urbani e soprattutto una certa sobria riservatezza. Una volta si diceva che "una vera signora non veste mai all'ultima moda, ma sempre alla penultima". Come a dire: seguire le mode non è trendy. Ma oggi? Difficile individuare i canoni dell'eleganza in un Paese che annovera tra i suoi master elegantiarum stilisti e eroi della tv che sembrano narcotrafficanti o maîtresse, killer usciti da un film di Tarantino o ragazze de borgata. D'altronde, si sa, la moda si allinea ai comportamenti. E oggi, per essere eleganti, occorre arroganza, disprezzo degli altri, spregiudicatezza e anche una buona dose di volgarità. Entrate in un ristorante, parlate forte dopo avere parcheggiato il vostro suv (nero, possibilmente: più assomiglia a un carro-funebre e meglio è) in doppia fila, lasciate la porta del locale spalancata e mostratevi incuranti degli altri. Stressate il cameriere. Mandate indietro il vino anche se è buono. Desterete subito invidia e ammirazione, molti registreranno i vostri comportamenti per imitarvi.
A giudicare da come questi comportamenti si stanno diffondendo, possiamo veramente apprezzare l'affermarsi di un nuovo lifestyle: il buzzurro è chic. Ma allora, le vere signore, dove sono finite? Ebbene, vi stupirà sentire che anche molte di loro si sono convertite al new deal. Noi di Genova, che una volta dicevano essere la città più elegante d'Italia, la più english, la più classy, siamo scioccati. Allora ammiravamo le signore di Castelletto che erano davvero splendide con il loro incedere senza tracotanza, con poco trucco, scarpe basse, indumenti belli, duraturi e poco chiassosi, capelli legati, niente coiffeur… erano un riferimento per tutti. Il loro essere educatamente altoborghesi imponeva anche la lettura di un quotidiano: in genere il Giornale di Montanelli. Talvolta il Sole 24 ore. Il Corriere no, troppo meneghino. Faceva molto chic quel quotidiano che occhieggiava da una bella borsa alla cacciatora di cuoio grasso. Ma i tempi cambiano: oggi molte signore sull'ascensore di Castelletto leggono Libero, estraendolo da un'orrenda sacca di plastica griffata del costo di 650 euro. Ne ho vista una che leggeva a bassa voce, sussurrando con le sua labbra botuliniche il verbo della nuova eleganza. 

partigiano reggiano

LO SPARTIACQUE ...


“Viviamo pungolati dal timore di dover realizzare rapidamente qualcosa di socialmente apprezzabile e moderati dalla segreta speranza di aver ancora a disposizione lungo tempo per farlo”

diventa essenziale potersi confrontare con l'assurdo , ed è sistematico poterci diventare soci senza capitale di appartenenza .
Credo che ognuno di noi debba asserire a se stesso di esserne, complice e misfatto di un unisono e sotto tonico evento mediatico.

partigiano reggiano  

PAROLE D'ALTRI , PENSIERI ALTRUI , COINCIDENZE CEREBRALI...


Nel corpo fisico la malattia è il risultato della resistenza della personalità alla guida dell'anima. Ci ammaliamo quando dimentichiamo la divinità dentro di noi, quando proviamo a imporre i nostri desideri sugli altri o permettiamo che i loro suggerimenti e i loro pensieri ci influenzino. 

Edward Bach

PAROLE D'ALTRI , PENSIERI ALTRUI , COINCIDENZE CEREBRALI...


L’uomo non ama il cambiamento, perchè cambiare
significa guardare in fondo alla propria anima con sincerità
mettendo in contesa se stessi e la propria vita.
Bisogna essere coraggiosi per farlo, avere grandi ideali.
La maggior parte degli uomini preferisce crogiolarsi nella mediocrità ’e fare del tempo lo stagno della propria esistenza. 

(Erasmo da Rotterdam)

PAROLE D'ALTRI , PENSIERI ALTRUI , COINCIDENZE CEREBRALI...

La vita non ha senso a priori.
Prima che voi la viviate, la vita di per sé non è nulla; sta a voi darle un senso,
e il valore non è altro che il senso che sceglierete.


Jean-Paul Sartre

martedì 27 novembre 2012

il momento del colore...

"si confonde in euforia 
si diffonde in essere assuefatti da quell'aria
e vuoi impazzire, gridare a ciò che ti circonda quanto la ami 
ascolti la tua fatica farsi unica e coerente compagna
incoerente e diafana paradossia diventa il tutto ed il nulla
e poi il silenzio...

ricordo di aver oltrepassato il crinale, essermi seduto sull'erba tiepida scaldata dall'ultimo sole..
...ricordo di averle telefonato per spiegarle dove mi trovavo – sai, sono dove con papà venivamo a mirtilli, si sta benissimo, non sembra nemmeno inverno...tra poco arrivo.

Poi ricordo di aver parlato con il vento, di aver condiviso con lui le mie angosce e le mie speranze...parlavo con lui mentre avevo nelle orecchie ancora il suono della voce di...

scendendo ricordo di averlo ringraziato perchè certi momenti son difficili da vivere da soli.

Credo di aver dato un significato a quella luce ed a quel colore...lo capirò più avanti." 



partigiano reggiano

il momento del bianco e nero...

"astinenza eterogenea nel sentirsi lontano da lei ,
cupi risvegli captati da quella luce 
volersi sentire tutt'uno con quel territorio che ben conosci
ululante essere dell'angoscia che l'urbano ti conferisce 
metropolitano spettatore , rubato alla realtà
....non esistevano sfumature di colore, era là che dovevo essere e soltanto lì volevo stare."


partigiano reggiano

lunedì 26 novembre 2012

SI E...VINCE CULTURA terza lezione


LE CAMPAGNE MILITARI
terza lezione

PRIMA CAMPAGNA MILITARE
La prima campagna militare contro i liguri è dell'anno 187 a.c. Roma eleggie 2 consoli, Claudio Flaminio e Marco Emilio Lepido. La scelta di dividere l'eventuale onore della vittoria, non piacque ai 2 consoli. Per una questione di prestigio, cioè il dividere in 2 il trionfo (scelta dettata dalla vastità del territorio). TITO LIVIO  inizia la narrazione sulle operazioni di FLAMINIO  contro i liguri sulla montagna modenese. Flaminio li vinse e impose di consegnare le armi. I liguri lasciarono i villaggi e il console li seguì. Ma essi si lanciarono per sentieri impraticabili, fuggirono dove il nemico non potesse seguirli. In tal modo passarono al di là dell'appennino in territorio toscano. Poichè FLAMINIO aveva reso tranquilla la provincia, per non lasciare nell'inerzia i soldati, tracciò una via da Bologna ad Arezzo. TITO LIVIO, passa poi a raccontarci della condotta di guerra di EMILIO LEPIDO. Il console incendiò e devastò i campi,mentre i liguri(montani) occuparono i monti Ballista e Suismonzio. Quindi, assaliti quelli che erano sui monti, prima li stancò con piccole scaramuccie, infine, li costrinse a scendere in campo aperto e li vinse. "Tutti Emilio sottomise, li spogliò delle armi e fece voto di un tempio a Diana. Trascinò l'esercito in territorio di Piacenza e tracciò una via fino a Rimini."
La via Emilia, come sapete, ha preso il nome dal console Emilio Lepido. La vittoria sui liguri procurò al console, ideatore e costruttore, la gloria di dare il suo nome, dice TITO LIVIO, "a una delle più belle e ricche regioni della penisola.
 
SECONDA CAMPAGNA MILITARE  180 a.c.
Sette anni dopo. Roma dovette intervenire con un altra azione militare contro i liguri, che nel frattempo avevano occupato posizioni strategiche sull'appennino.
I liguri intuirono che in un intervento futuro, Roma li poteva assalire dalla valle della Magra, attraversando i passi esistenti e piombare sul versante emiliano. Bisognava dunque prevenire questo potenziale pericolo, era quindi indispensabile scegliere una posizione chiave e sistemare la difesa.
La posizione che faceva al caso esisteva : non poteva essere che un monte sul crinale. Era il monte Leto attiguo al Casarola e nelle vicinanze del passo del Cerreto. 
Occuparono poi nuovamente il Ballista, ignorando il Suismonzio(pietra) Erano stati eletti consoli nel 180 a.c. Aulo Postumio e Caio Calpurnio Pisone. Questi però non potevano dedicarsi subito a imprese militari, perchè occupati nella "primavera della leva" (addestramento). Poi la morte di Caio Pisone e i comizi del sostituto Quinto Fulvio Flacco ritardarono ogni cosa. Nel frattempo i consoli dell'anno prima (181) Cornelio Lentuco e Bebio Tanfilo,che durante il consolato non avevano compiuto nulla di importante, condussero l'esercito nel territorio dei liguri.Gli apuani non si aspettavano la guerra e presi alla sprovvista si arresero nel numero di 12000 (liguri apuani). I 2 consoli presero una decisione drastica: cioè di trasferire quegli uomini lontano dalle loro residenze, perchè non avessero a ritornarvi. Ordinarono ai liguri di scendere dai monti con figli e mogli e di raccogliere le loro cose. Poichè non avevano forze per combattere, obbedirono. Furono trasferiti a spese pubbliche circa 40,000 uomini liberi donne e ragazzi, nell'agro pubblico romano posto nel SANNIO. Venne assegnata loro una somma di denaro necessaria per il sostentamento. Ricondotto l'esercito a Roma, Cornelio e Bebio ottennero il trionfo. Fu questo il primo caso di trionfo senza avere combattuto.
Gli altri due consoli che erano destinati a combattere contro i liguri, sui monti Ballista e Ledo, ripresero una vecchia strategia, cioè attaccare il nemico su due fronti, costringendolo a dividere le sue forze.
Racconta TITO LIVIO che la prima e la terza legione assediò i due monti, bloccando  con presidi gli stretti passaggi e ogni forma di alimentazione necessaria. Il piano militare produsse i suoi effetti. I liguri montani(reggiani) rimasero intrappolati. Non potendo contare sull'aiuto degli apuani (deportati in 40.000) si arresero e furono deportati in 7000 oltre le coste del mare etrusco a Napoli, poi nel Sannio.
 
TERZA CAMPAGNA MILITARE  176 a.c.
In quell'anno erano consoli Claudio Pulcro e Tiberio Sempronio Gracco. Il primo condusse vittoriosamente la campagna in ISTRIA, il secondo combattè con successo in Sardegna. Durante i festeggiamenti dei trionfi una lettera informò il senato che i liguri tenevano conciliaboli di guerra. Questi (i liguri friniati) si erano spinti fin verso la pianura (sul fiume panaro) con l'intenzione di occupare Modena. Il console Claudio Pulcro prese la legione e giunse in loco. Nella battaglia a campo aperto furono uccisi 15.000 liguri, fatti 700 prigionieri. I liguri scampati alla strage si ritirarono sui monti.
Il console Claudio Pulcro illustrò al senato le imprese vittoriose (cosa rara, due vittorie nello stesso anno) e ottenne il trionfio.
I liguri saputo che l'esercito era già stato condotto a Roma, assieme alla legione distaccata a Pisa, liberati da ogni timore, formato in segretezza un'esercito, scesero dai  monti e dopo aver saccheggiato la campagna, con un improvviso attacco occuparono Modena. 
Due gli obiettivi dei liguri ottenuti a base dell'impresa : desiderio di rivincita dopo la sconfitta sul Panaro e fare bottino. Roma pensava che dopo averne deportato 47.000 nel Sannio non sarebbero stati in grado di riorganizzarsi. I liguri invece si rivelarono imprevedibili, tenacissimi  difensori della loro indipendenza e libertà.
 
TITO LIVIO annota che" i liguri hanno dato prova di grande mobilità, spostandosi da un versante all'altro dell'appennino, superando i valichi che conoscevano alla perfezione, incuranti delle fatiche e dei lunghi percorsi. Era per loro un costume di vita, un fatto normale, ordinario."
 
Saputosi a Roma dell'occupazione di Modena, il senato ordinò a Claudio Pulcro di tornare nella regione e riprendere la colonia. Diresse l'esercito verso Modena  e in tre giorni la riconquistò. Furono uccisi 8000 liguri.
Scrisse una lettera a Roma per gloriarsi del fatto che, grazie al suo valore nessun nemico rimaneva al di quà delle Alpi........Ma la pacificazione durò poco. Nel luglio del 176 giunse a Roma una lettera che diceva : I  LIGURI SI SONO NUOVAMENTE RIBELLATI, PRENDERE IMMEDIATI PROVVEDIMENTI.
Claudio Pulcro era pro console. Creò console Quinto Putilio Spurino, raccolse alla svelta  tutte le legioni, più un contingente a Parma e arrivò sull'appennino reggiano.
I liguri montani intanto avevano occupato i monti Leto e Ballista. Avevano la sensazione che si trattasse della lotta decisiva, e avevano cinto di un muro i due monti.
Il pro console iniziò un rastrtellamento nelle campagne uccidendo 1500 persone. I liguri per vendetta uccisero i prigionieri catturati a Modena con terribili smembramenti.
Quinto Putilio si diresse verso i monti, si accorse che i suoi soldati procedevano con insicurezza. Il console, allora,marciò alla testa dei reparti, non curandosi del pericolo. Così esposto e scoperto, TRAFITTO DA UN DARDO, cadde a terra. I legionari occultarono il cadavere, consci che da ciò dipendesse la vittoria. Infatti pur privi del comandante liberarono i due monti e uccisero 5000 liguri. Il senato ordinò che non si desse paga alla milizia; non si erano esposti per salvare il loro comandante. Dopo questo importante fatto d'arme non si ha più notizia di ostilità tra romani e liguri. Decimati dalle deportazioni e dalle uccisioni i liguri convissero con i romani, condividendone la sorte, sotto gli stessi ordinamenti di Roma. Fecero propria la lingua latina come testimonia il dialetto reggiano, nato  nel seno della lingua romana. In esso (nel dialetto) circolano ancora voci che costituiscono il lessico in uso fino ai nosri giorni.
 
" questi atti di ribellione avevano valore politico, in quanto significavano opposizione alla conquista romana. 
E' RIBELLE CHI, VINTO E SOGGIOGATO, RIFIUTA QUESTA CONDIZIONE E ATTACCA IL DETENTORE DEL POTERE." 
                                  tito livio
 

a cura di Solli Vincenzo

grazie ancora
partigiano reggiano

SI E...VINCE CULTURA seconda lezione


PROFILO DEI LIGURI
seconda lezione

la montagna reggiana, antecedente alla conquista romana, faceva parte della Liguria. Il territorio comprendeva oltre alla Liguria, l'Emilia, e la Toscana. I suoi abitanti erano chiamati Liguri, Liguri Friniati, Apuani, Montani. Essi costituivano per Roma, un focolaio di instabilità che operava azioni di disturbo e danno alle terre da poco conquistate. 
Fortemente autonomi e attaccati ai loro monti, confidavano di essere al sicuro per la protezione che offriva loro la giogaia appenninica, che nel settore da loro abitato, offre un baluardo alto e massiccio. Abitudine dei Romani, era, di inviare dei coloni (coltivatori) in località di conquista, i quali dovevano dedicarsi alla lavorazione della terra, avendo anche compiti di difesa del territorio.
Lo storico DIODORO SICULO, nella sua "Storia universale" in greco ha dedicato ai Liguri 2 capitoli.
Scrive: "abitano questa regione, liguri. Coltivano una terra aspra e del tutto povera. In virtù dei loro lavori e degli immensi sacrifici, essa, produce modesti frutti.I Liguri hanno corpi asciutti, ma per la  continua pratica lavorativa, sono forti, agili, svelti, e nelle azioni belliche eccellenti combattenti. Vivono infatti lontano dalle comodità e dalle mollezze. Per mercede lavorano sia uomini che donne. Le donne hanno la robustezza degli uomini.
Essendo in regione coperta da alberi, armati di pesanti scuri, tagliano legna tutto il giorno. Altri coltivano la terra o catturano selvaggina, riparando così alla scarsezza dei prodotti della terra. Passano le notti nei campi o in modeste capanne. I più dormono nelle cavità delle rupi o in spelonche naturali. Conservano così l'antico e semplice tenore di vita. Si dice che il più forte dei lottatori dei GALLI, nel corpo a corpo, viene battuto dall'esile ligure. Sopportano le più terribili difficoltà, che....desta meraviglia.
Lo storico STRABONE, aggiunge: "i liguri avevano cavalli e muli da cui ricavavano pelli che esportavano. Producevano miele, vino, ma in scarsa quantità e brusco(LAMBRUSCO). Lana ma molto ruvida. Con il ricavato delle esportazioni, acquistavano olio e vino italiano.
TITO LIVIO, storico dell'epoca, nel suo libro"STORIE" racconte che "i liguri non avevano molta attitudine a ingaggiare battaglie campali, cioè in campo aperto.In una battaglia vera e propria ne uscivano sconfitti, perchè i soldati romani erano più allenati nel corpo a corpo. La loro - dei liguri- era una forma di guerra particolare, condotta con attacchi a sorpresa, colpi di mano, brevi scontri, imboscate."
Gli studiosi sono arrivati a stabilire che i liguri attuavano una lotta armata, con tutte le caratteristiche della guerriglia moderna. Pratici dei luoghi, mobilissmi, dall'azione fulminea, abili nel tendere insidie al nemico romano. Famosa  è l'imboscata tesa nel 186 a.c. al console QUINTO MARCIO FILIPPO. Egli, mentre con la legione li inseguiva nei boschi, fu circondato, in una posizione critica, costituita da una gola, preventivamente occupata da Liguri, Apuani, e Montani. I soldati uccisi, 4000, e molte le armi perse, perchè gettate via dai soldati che le consideravano d'inciampo nella fuga. Infine, nella fascia costiera del tirreno, i liguri praticavano attività marinare, facendo i corsari. Cioè predando. Ostacolavano così il commercio romano lungo le coste, fino alla Corsica e alla Sardegna. TITO LIVIO fa notare che i marsigliesi si lamentavano con i romani della pirateria dei liguri. ROMA doveva liberare il Tirreno da quei PIRATI.
 

SI E...VINCE CULTURA prima lezione

"E' grazie alla Passione e l'Amore per Terra Emilia, che oggi grazie all'amico Vincenzo Solli della Scuola Popolare di Reggio nell'Emilia , posso regalarvi e condividere con tutti voi, questo preziosissimo documento, scritto e tenuto a cattedra in una delle sue meravigliose lezioni .
Volendone rendere giusto omaggio e soprattutto meritata attenzione , suddividerò in più post (lezioni) questo meraviglioso regalo."

Grazie Vince 

partigiano reggiano

La conquista romana della montagna reggiana 186 A.C.
a cura di Vincenzo Solli

prima lezione:

Elementi utili alla comprensione :           

        
MONTI
Letus (ledo)
Ballista ( valestra o cavalbianco)
Suismonzio (pietra di bismantova)
                                                        
CONSOLI  

prima campagna

Quinto Marcio Filippo 186 a.c.
Claudio Flaminio 187 a.c.
Marco Emilio Lepido 187 a.c.                                    
seconda campagna

Caio Calpurnio Pisone
Aulo Postumio
Quinto Flavio Flacco           180 a.c.                           Corneglio Lentulo
Bebio Tanfilo
terza campagna

Claudio Pulero 177 a.c.                                              Tiberio Sempronio Gracco
Quinto Petiglio Spurino       176 a.c.
Claudio Pulcro
 
LIGURI

Liguri friniati (modena)
Liguri montani (reggio emilia)
Liguri apuani( toscana)
Liguri (liguria)
 
NOTE : I quattro monti citati, in verità non sono ancora ben definiti come teatro delle battaglie.
Intendo dire che malgrado le cronache delle battaglie siano arrivate a noi, tramite le"Storie" narrate da TITO LIVIO, restano dei dubbi. Per es: la Pietra di Bismantova (dove sono state trovate monete romane) Tito L. la definisce SUISMONZIO. cioè "monte del maiale o cinghiale".Questo perchè all'epoca la PIETRA non era pari come ora, ma mostrava, vista da lontano,alcuni piccoli monti sulla spianata. Così TITO L. chiese ad alcune persone come chiamavano quel monte, e gli dissero "monte del maiale".In verità quel monte prima ancora di queste battaglie, i montanari reggiani la chiamavano PETRA (cioè Pietra. La città di Petra in Giordania è appunto una città scolpita nella pietra, nel sasso.) Ma TITO L. come giornalista non era affidabile, non alzava il culo dalla sedia, si fidava di quello che gli dicevano gli amici. Il contrario esatto di ERODOTO,vissuto molti secoli prima (2400 a.c.) ,ma molto pignolo e scrupoloso. Infatti Erodoto controllava personalmente le notizie, andando a piedi sui luoghi. TITO L. nelle sue cronache parla del monte"Ballista". La traduzione dal latino (o dal greco) non significa VALESTRA (carpineti), ma BALESTRA. Che non è un monte, ma uno strumento per lanciare sassi contro il nemico. Il monte CAVALBIANCO è molto lontano dagli altri monti citati da TITO L. E' impossibile che i montanari reggiani affrontassero delle battaglie su monti così distanti tra loro. Infine il significato di"Pietra di Bismantova". Solo nel medioevo si inizia a chiamarla così. Perchè quando i LIGURI (liguria) e i LIGURI APUANI(toscani) attraversavano i monti per andare a MANTOVA, passavano due volte (andata e ritorno) davanti alla Pietra. Da quì "Pietra di bis(2) mantova".

Tutto chiaro ?

 

LETTER...@RIA DINTORNI & CONTORNI

Dalla “rivolta di Tricase” del 15 maggio 1935, con la feroce repressione di una manifestazione di piazza delle tabacchine dello stabilimento “Acait”, fino all’occupazione del feudo d’Arneo nel 1949-51, la più eclatante delle azioni intraprese dal movimento sindacale e contadino, un viaggio nella memoria del lavoro nel Salento della prima metà del ‘900 in cui, nell’intreccio di musica tradizionale e racconto, prendono corpo storie a torto considerate “minori”, recuperate dal basso attraverso le modalità di indagine della “storia orale”, capace di rimuovere consolidate amnesie o molto comode rimozioni della storiografia ufficiale.
Storie intrecciate alle foglie di tabacco e agli umori della terra, ai sudori dei braccianti e alle loro attese deluse che, ricostruite attraverso interviste ai protagonisti di quei moti, animano un possente affresco sociale e politico che non trascura però la dimensione più quotidiana di personali vicende di sofferenza, disperazione e rivolta. Tra lettura e canto, parola e musica, si riannodano così i fili di una trama originale su manifattura e campagne del meridione, dall’episodio cruciale della rivolta popolare costata la vita, nel maggio del 1935, a cinque manifestanti fino alla tristemente nota occupazione dell’Arneo degli anni ’50, quando i poliziotti “fecero a pezzi le biciclette” dei braccianti che lottavano “per avere un pezzetto proprio di terra”, come avrebbe poi raccontato il poeta Vittorio Bodini, unica voce presa in prestito dalla cultura colta nella costruzione di una narrazione affidata interamente a tabacchine e contadini. Situata nella specifica congiuntura degli anni ’30, “la rivolta di Tricase”, definizione che si deve al grande sindacalista Giuseppe Di Vittorio, illumina in particolare i meccanismi e le modalità di manipolazione che il regime fascista metteva in atto per oscurare zone e motivi di dissenso che vivevano soltanto nei rapporti ufficiali della polizia, dai quali pure si ricava la conferma di un’effervescenza intrecciata con spunti di rivendicazione classista e antifascista, presenti anche a Tricase.
Il volume e il cd allegato gettano anche uno sguardo prospettico sui canti di lavoro e di lotta della tradizione salentina con brani come 
Lu sule calau calau, Fimmene fimmeneLa tabbaccaraLa Ceserina, entrati nei repertori della riproposta, ma anche canti misconosciuti o dimenticati come Masseria Stanese e La cupa cupa vene de Pisticcia (sull’emigrazione stagionale), il canto di carcere Canaja Canaja, brani di ricostruzione epica di quelle vicende come Le tabacchine di Aradeo e Canto dell’Arneo e un pezzo, usato probabilmente nelle campagne elettoriali, come Madonna mia ce sta succede. L’esecuzione dei brani è affidata ad un ensemble che riunisce alcune delle migliori espressioni della scena musicale pugliese come Anna Cinzia Villani, Maria Mazzotta, Daniele Girasoli ed Enrico Novello.
Attraverso la viva voce dei protagonisti, si delinea così un vivido spaccato su un’indimenticabile stagione di lotte sociali che, nel cd allegato, restituisce all’ascolto anche la ruvida materialità di canti e musiche di straordinaria bellezza ma ricolmi di aneliti di riscatto, di cui si è perso persino il ricordo nelle levigate operazioni di riproposta dei repertori popolari salentini.
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...e il paese delle meraviglie


BERSANI: GIORNATA STRAORDINARIA - "E’ stata una gionata straordinaria, non me la si rubi perchè l’ho voluta io
"Credo che, finita questa prova, abbiamo un punto di forza difficile da scalfire. Penso che il gesto che abbiamo fatto in parte rompe un po’ il muro tra cittadini e politica

RENZI: BERSANI HA VINTO IL PRIMO ROUND - Matteo Renzi è stato accolto con standing ovation e grida da stadio al suo arrivo al comitato elettorale alla Fortezza da Basso di Firenze, gremito da centinaia di persone. Renzi chiede alla sua platea un "applauso particolare per Pier Luigi Bersani". "Apprezzo l’entusiasmo in queste ore per il bel risultato dell’affluenza. Voglio mandare un saluto particolare ai competitor. Hanno combattuto lealmente, il centrosinistra avrà bisogno di loro e di coinvolgerli. Un abbraccio particolare a chi ha vinto il primo round delle primarie, a cui va un applauso di stima e anche per certi versi di affetto". 

ENRICO LETTA: OTTIMO RISULTATO - Il primo turno delle primarie consegna un "ottimo risultato", un "trampolino per vincere alle politiche"

VENDOLA - "E’ un giorno storico, in cui il centrosinistra ritrova il suo popolo. Ora non lo abbandoni dopo averlo ritrovato. Questa giornata ci dimostra che non c’è rancore nei confronti della politica"

TABACCI - "Ero consapevole che il mio era un gesto di generosità, ho fatto il donatore di sangue". 

ALICE IN WONDERLAND :
Bianco Coniglio :
Non credere mai di essere altro che ciò che potrebbe sembrare ad altri che ciò che eri o avresti potuto essere non fosse altro che ciò che sei stata che sarebbe sembrato loro essere altro.
GattoSi davano degli ottimi consigli, però poi li seguivano raramente.
Bianco Coniglio :Visto che il problema non era di immediata soluzione, non aveva molta importanza che fosse espresso correttamente.
"In tutto c'è una morale, se si sa trovarla."
Alice: "Quale via dovrei prendere?".
Gatto: "Dipende da dove vuoi andare".Alice: "Poco importa dove".Gatto: "Allora poco importa quale via prendere".
partigiano reggiano